L'importanza di chiamarsi Timo Boll
Quando hai 5 anni e inizi a giocare a tennistavolo il tuo destino è praticamente segnato. Quando a 36 ti dicono che è il caso di farsi da parte, di lasciar perdere perché ormai sei "spompato", trovare un'uscita in grande stile diventa la cosa più difficile di questo mondo, con buona pace dei fan più accaniti.
Mettersi ancora in discussione, per chi ha dovuto farsi le spalle larghe nel raccogliere la pesante eredità europea di sua maestà Waldner, diventa davvero l'avversario più ostico di turno. E non importa quante generazioni di cinesi hai dovuto affrontare, a quanti sei sopravvissuto e a quanti hai dovuto soccombere, arrivato alla fine non conta più niente: il tempo ce l'ha con tutti e non ce l'ha con nessuno, silenzioso e un po' stronzo com'è.
Ma la grinta dei campioni, la testa dei campioni, quelli che più passano gli anni e più lo sport diventa tremendamente romantico, quella conta veramente. Sempre. Perché se ti chiami Timo Boll tutti ti vedono come l'anti-Cina in persona, sei l'unico in grado di alzare davvero la voce contro i fenomeni, i mostri del tennistavolo moderno. E' il destino che ti sei creato, che hai scelto ma che non avresti mai immaginato quando a 5 anni iniziavi a giocare in garage con papà.
Da Ma Lin a Lin Gaoyuan è passata un'era geologica ma tu sei sempre lì, con quello sguardo perso nella concentrazione del momento, nonostante sia cambiato tutto e tutto debba ancora cambiare: solo i più grandi, si dice, riescono a stare ai massimi livelli per tanti tanti anni, solo quelli che dello sport fan poesia. E l'ennesima cornice, l'ennesima poesia va scritta lì dove ci si sente a casa, a Liegi in Belgio.
"This is my living room".
Quarti di finale dell'ITTF World Cup 2017, di fronte il nuovo campioncino di turno, uno che era già andato vicino a spodestare Xu Xin. Partita difficile, avversario che viaggia sulle ali dell'entusiasmo, set tiratissimi, 10-4 sotto al settimo: è tutto finito. Timo Boll non ne ha più, è acqua passata, nulla a che vedere con le forze fresche che la Cina mette in campo ogni anno.
Ma è qui che succede qualcosa, si vede una scintilla. Riavvolgi il nastro e prendi coscienza, magicamente ti ricordi chi sei, magicamente ti ricordi di esserti preso a schiaffi con il destino più di una volta, magicamente riprendi sulle spalle il peso di un continente intero: 10-6 con annessa paralisi del cinese, 10-8 con paralisi del suo allenatore, 10-10, è fatta! E invece no, no, perché perdere da 10-4 senza lottare ad altissimi livelli non esiste, quindi il destino ci scherza su di nuovo, un altro match point (il settimo). E quando annulli anche quello e poi vai a trionfare, quella sì che deve essere davvero una bella sensazione.
Semifinale: caro Ma Long, ma non dovevamo vederci più? Il giocatore più forte del pianeta, tutti lo sanno, lo dicono i numeri, lo dice il modo di giocare e tutti i trionfi in bacheca. Ma questa volta è diverso, perché magari non è al 100% e questo vuol dire già avere un'opportunità, tanta roba contro IL marziano per definizione. E le opportunità vanno sfruttate, sempre. Di nuovo al settimo set ma questa volta in vantaggio 10-8: tutto troppo facile e infatti tutti stentano a crederci. La tensione è nell'aria e traspare perfino nell'incertezza del braccio mancino di Timo. Urla Ma Long, è 10-10: una maledizione, l'ennesima occasione buttata al vento.
Stavolta è diverso.
Servizio Boll, risposta, apertura sbilenca di rovescio, controtop di Ma Long. Ne avrà tirate a migliaia di queste bombe, questa volta la palla è out di un niente. FUORI. 11-10, la folla è in visibilio.
Serve Ma Long, Timo si piega, risposta cattiva e storta, Ma Long si gira, tira di dritto e stecca. E' 12-10, game, set, match.
Sintesi di una rivincita, dell'ennesimo scherzo del destino, sintesi della grinta e della sagacia di una leggenda costretta ad aggrapparsi a qualsiasi tatticismo pur di trionfare di nuovo.
Il resto è storia, passi anche la sconfitta in finale con Ovtcharov: il tempo del ritiro, per l'ennesima volta, può spostarsi un po' più in là. Ci saranno finali ancora migliori di questo.
danke Timo
Mettersi ancora in discussione, per chi ha dovuto farsi le spalle larghe nel raccogliere la pesante eredità europea di sua maestà Waldner, diventa davvero l'avversario più ostico di turno. E non importa quante generazioni di cinesi hai dovuto affrontare, a quanti sei sopravvissuto e a quanti hai dovuto soccombere, arrivato alla fine non conta più niente: il tempo ce l'ha con tutti e non ce l'ha con nessuno, silenzioso e un po' stronzo com'è.
Ma la grinta dei campioni, la testa dei campioni, quelli che più passano gli anni e più lo sport diventa tremendamente romantico, quella conta veramente. Sempre. Perché se ti chiami Timo Boll tutti ti vedono come l'anti-Cina in persona, sei l'unico in grado di alzare davvero la voce contro i fenomeni, i mostri del tennistavolo moderno. E' il destino che ti sei creato, che hai scelto ma che non avresti mai immaginato quando a 5 anni iniziavi a giocare in garage con papà.
Da Ma Lin a Lin Gaoyuan è passata un'era geologica ma tu sei sempre lì, con quello sguardo perso nella concentrazione del momento, nonostante sia cambiato tutto e tutto debba ancora cambiare: solo i più grandi, si dice, riescono a stare ai massimi livelli per tanti tanti anni, solo quelli che dello sport fan poesia. E l'ennesima cornice, l'ennesima poesia va scritta lì dove ci si sente a casa, a Liegi in Belgio.
"This is my living room".
Quarti di finale dell'ITTF World Cup 2017, di fronte il nuovo campioncino di turno, uno che era già andato vicino a spodestare Xu Xin. Partita difficile, avversario che viaggia sulle ali dell'entusiasmo, set tiratissimi, 10-4 sotto al settimo: è tutto finito. Timo Boll non ne ha più, è acqua passata, nulla a che vedere con le forze fresche che la Cina mette in campo ogni anno.
Ma è qui che succede qualcosa, si vede una scintilla. Riavvolgi il nastro e prendi coscienza, magicamente ti ricordi chi sei, magicamente ti ricordi di esserti preso a schiaffi con il destino più di una volta, magicamente riprendi sulle spalle il peso di un continente intero: 10-6 con annessa paralisi del cinese, 10-8 con paralisi del suo allenatore, 10-10, è fatta! E invece no, no, perché perdere da 10-4 senza lottare ad altissimi livelli non esiste, quindi il destino ci scherza su di nuovo, un altro match point (il settimo). E quando annulli anche quello e poi vai a trionfare, quella sì che deve essere davvero una bella sensazione.
Semifinale: caro Ma Long, ma non dovevamo vederci più? Il giocatore più forte del pianeta, tutti lo sanno, lo dicono i numeri, lo dice il modo di giocare e tutti i trionfi in bacheca. Ma questa volta è diverso, perché magari non è al 100% e questo vuol dire già avere un'opportunità, tanta roba contro IL marziano per definizione. E le opportunità vanno sfruttate, sempre. Di nuovo al settimo set ma questa volta in vantaggio 10-8: tutto troppo facile e infatti tutti stentano a crederci. La tensione è nell'aria e traspare perfino nell'incertezza del braccio mancino di Timo. Urla Ma Long, è 10-10: una maledizione, l'ennesima occasione buttata al vento.
Stavolta è diverso.
Servizio Boll, risposta, apertura sbilenca di rovescio, controtop di Ma Long. Ne avrà tirate a migliaia di queste bombe, questa volta la palla è out di un niente. FUORI. 11-10, la folla è in visibilio.
Serve Ma Long, Timo si piega, risposta cattiva e storta, Ma Long si gira, tira di dritto e stecca. E' 12-10, game, set, match.
Sintesi di una rivincita, dell'ennesimo scherzo del destino, sintesi della grinta e della sagacia di una leggenda costretta ad aggrapparsi a qualsiasi tatticismo pur di trionfare di nuovo.
Il resto è storia, passi anche la sconfitta in finale con Ovtcharov: il tempo del ritiro, per l'ennesima volta, può spostarsi un po' più in là. Ci saranno finali ancora migliori di questo.
danke Timo
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