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La Chinese Super League, la competizione più difficile al mondo

Photo by XINHUANET.com © Tutti i diritti riservati
Il tennistavolo vero, quello che ci appassiona, che ci fa soffrire, che ci arde dentro passa dall'atmosfera della competizione, delle battaglie sui tavoli. Combattimenti veri e propri, guerre feroci all'ultimo colpo, all'ultimo assalto, all'ultimo match point. Sfide sanguigne che valgono una storia, dove ci si gioca tutto e si vive per tutto: che si tratti di torneo dell'oratorio o di campionati del mondo, a noi pongisti la battaglia, il confronto sul campo di guerra, pardon, di gara, ci piace troppo. Inutile negarlo. A prescindere dal livello di gioco è proprio una questione di istinti primordiali, di dna della disciplina: se l'uomo è l'animale sociale per antonomasia, il pongista è il più competitivo fra tutte le specie. Non si fa in tempo a dire "è l'ora delle partite!" che ce le stiamo già dando di santa ragione...
Ma anche in un mondo fatto di scontri ed epiche battaglie, dove alla fine deve prevalere a tutti i costi un credo, un numero uno, un vincitore, c'è competizione e competizione, torneo e torneo, parrocchia e parrocchia. La battaglia più dura al mondo? In Cina. Il suo nome? Chinese Super League. Semplicemente il campionato per eccellenza, o per eccellenze. Se qualcuno un giorno avrà mai il coraggio di chiedere a Ma Long o a Xu Xin il nome del torneo o della manifestazione più difficile a cui abbiano mai partecipato siamo certi che la risposta sarà solo una: non i Campionati del Mondo, non le Olimpiadi, non i Top 12, ma il massimo campionato a squadre di tutta la Cina.
Deve essere un po' come scalare una montagna senza esser sicuri di poter poggiar bene i piedi: ad ogni passo tutto è costantemente in bilico, tutti potrebbero perdere e vincere contro tutti. Fronde di cinesi provenienti da ogni angolo, provincia e municipalità della Cina portano con sé nomi pressappoco sconosciuti ma anche colpi e tecniche decisamente sopra la media. È questo il quid magico, ciò che rende la Super League qualcosa di davvero unico e affascinante: Ma Long non parte mai come l'uomo meno battuto al mondo, "the dictator" o "the dragon", Ma Long parte semplicemente come Ma Long. Semmai è proprio quando si trova difronte ai vari Yuan Licen, Zhou Yu, Niu Guankai o Liu Dingshuo che deve dimostrare di meritarsi tali titoli e onori. Il che non è affatto scontato. Tutti vogliono vincere, tutti vogliono provare a imporsi nella scalata al titolo di supercampioni di Cina che fu per ben 7 volte di Ma Lin e compagni.
La lotta è ovviamente serratissima, ardua, difficile, ma non ne fanno parte solo i temuti "sconosciuti": ci sono anche i big, i "professionals", cioè i Fan Zendhong, Xu Xin, Liang Jingkun, Fang Bo e via discorrendo, e poi gli "stranieri", ovvero i non-cinesi che di anno in anno vengono scelti per prendere parte al campionato. E questa è un po' la nota dolente della manifestazione: dal 1995 ad oggi la presenza dei foreigners tra le squadre che partecipano alla CTTSL è stata praticamente blindata, quasi esclusivamente tramite invito. Non che la cosa sia impossibile se ti chiami Boll, Samsonov o Ovtcharov e sei nel pieno della tua carriera, ma diciamo che gli incidenti diplomatici con Giappone, Taipei e Hong Kong sono storia di quasi tutte le edizioni. Mettiamola così: la Cina non ci tiene troppo ad aprire i suoi confini a determinati atleti stranieri in anni in cui ci sono determinate gare internazionali fondamentali. D'altronde sono solo 8 le squadre che partecipano ogni anno a questo gran galà del tennistavolo professionistico, questo circolo di assoluta élite e tradizione del sol levante: non è che la Cina possa essere proprio contenta nell'invitare mezzo mondo a prendere il tè nel suo salotto migliore, ecco.
Ma tra lo spettacolo e il livello assoluto, seppur con i suoi crismi e le sue restrizioni, proprio quest'anno la competizione ha riservato uno spiraglio di luce più luminosa: nel raggruppamento femminile, oltre alle 8 formazioni cinesi designate a darsi battaglia, ne è stata aggiunta una ulteriore fortemente voluta dall'Ittf, denominata appunto ITTF World Professionals e composta da 5 giocatrici di tutto il mondo: la portoricana Adriana Díaz (rank 18), la statunitense Lily Zhang (rank 30), la coreana Jeon Jihee (rank 15), la taiwanese Cheng I-Ching (rank 8) ed infine Doo Hoi Kem da Hong Kong (rank 14). E non se la sono neanche cavata male, visto che si sono piazzate al 6° posto su 9, non riuscendo però a centrare la Top-4 che avrebbe consentito loro di disputare la fase finale, il play-off per intenderci.
Tra i maschietti è andata decisamente peggio, con il solo taiwanese Lin Yun-Ju (rank 7) che ha potuto prendere parte all'evento tra le fila dello Shandong Weiqiao: la squadra alla fine si è classificata terza nel tabellone principale ma è stata poi subito eleminata in semifinale dalla seconda classificata, lo Shantou di Lin Gaoyuan. La formula di gioco, per chi fosse alla ricerca di qualche ulteriore precisazione, prevede infatti un girone secco da 8 in cui le ultime 4 classificate lottano per mantenere la categoria con le prime della serie B, mentre le prime 4 si contendono il titolo con l'accoppiamento 2-3 | 1-4. Il tutto in formula olimpica: un incontro di doppio e quattro singolari, al meglio dei cinque incontri. Ed ogni incontro al meglio dei cinque set.
Ma al di là di formule e cronache sportive, la vera questione che sorge spontanea, forse dettata anche dal momento, è la seguente: non varrebbe la pena di puntare tutte le fiches su un campionato che esiste, funziona e garantisce già il massimo livello tecnico possibile al mondo? O ci piace per forza mettere in moto la creatività per nuovi e a volte assurdi meccanismi di gioco internazionali? Le risposte ovviamente non sono semplici e prevedono che entrambi le parti, federazione cinese e Ittf, trovino i propri punti in comune. E trovino ovviamente anche il tempo per dialogarsi nella stessa lingua sportiva. Di sicuro ciò che conta alla fine è che lo spettacolo, l'elettricità e l'atmosfera che si respira durante la Chinese Super League riescano a rimanere invariati nel tempo. Che forse è poi quello che rende la Super League ciò che è in realtà: un campionato unico, difficilissimo ma quasi del tutto inaccessibile. Un piccolo tempio cinese arroccato su un alto monte in un paesaggio che si chiama... tennistavolo!

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